Il SI al referendum contro la possibilitÃ* di costruire centrali nucleari nel nostro paese non dovrebbe nascere da un semplice NO al nucleare ambientalista e talebano ma da un ragionamento economico guardando alla realtÃ* del fenomeno negli altri paesi del mondo.
Analizziamo la situazione:
Negli USA operano 109 reattori per una potenza di 99 GW. L’ultimo ordine di costruzione di un reattore nucleare effettivamente realizzato risale a 23 anni fa. Negli ultimi 30 anni, i reattori ordinati e successivamente cancellati per i costi crescenti sono stati 123, mentre nel 1990, in Canada, il piano di costruzione di 10 reattori entro il 2014, è stato cancellato.
Per dare un esempio del costo di smantellamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi basta esaminare la situazione della centrale Yankee Rowe (Massachussets), chiusa nel 1991, fu costruita nel 1960 a un costo, in dollari 1993, di 186 milioni; lo smantellamento completo prevede (non è stato ancora completamente terminato) una spesa di 370 milioni di dollari, quasi il doppio di quanto speso per costruirla. La sua durata è stata quindi di 31 anni.

La vita media dei 439 reattori attualmete in funzione nel mondo è di 21 anni. Si stanno smantellando 80 centrali che hanno una vita media di 32 anni. In costruzione ce ne sono 36. Vale la pena di sottolineare che si tratta di centrali in costruzione, non in progetto di costruirle.

Nel 2002, British Energy entrò in crisi perché la liberalizzazione dei mercati elettrici aveva reso il nucleare poco competitivo. Fu salvata dalla bancarotta grazie a un criticato aiuto pubblico di oltre 6 miliardi di euro, in parte per coprire le passivitÃ* legate alla gestione delle scorie nucleari e al futuro smantellamento delle centrali nucleari.

Nel gennaio 2005, la Corte dei conti francese ha scoperto che a fronte di 13 miliardi di euro di accantonamenti dichiarati da Electricité de France per lo smantellamento delle centrali nucleari e per la gestione delle scorie radioattive, esistono solo 2,3 miliardi di attivi effettivamente dedicati allo scopo.

Da questi esempi emerge il dubbio che il nucleare sia un’industria in cui è facile scaricare i costi sul futuro e sulla collettivitÃ* perchè è solo la gestione e la vendita dell'energia il momento economico positivo del ciclo di vita di una centrale nucleare. Tutto ciò che viene prima dell'entrata in esercizio e dopo la chiusura della centrale è in un forte passivo e nessuna azienda privata sarÃ* mai in grado di farvi fronte.

Nel Nord America non si sta costruendo nessuna centrale, perchè appare non conveniente, e anche perchè la sua costruzione richiede almeno 10 anni con un costo maggiore di una qualsiasi centrale tradizionale, mentre smantellarla costa più del doppio e la sua durata è nella migliore delle ipotesi di poco superiore ai 30 anni.

Il costo di smaltimento dei rifiuti è maggiore del costo di fabbricazione della centrale, e non si deve dimenticare che in Italia non ci sono giacimenti di uranio, e questo creerebbe una nuova dipendenza dall'estero (uranio al posto del petrolio).
Altro problema per l'Italia è la mancanza di un sito sicuro di stoccaggio delle scorie per cui giÃ* adesso non sappiamo dove mettere i rifiuti radioattivi ospedalieri a bassa emissivitÃ* figuriamoci stoccare tonnellate di scorie radioattive. Le scorie prodotte dalle tre centrali italiane bloccate dal precedente referendum sono ancora nei depositi delle centrali e non si sa dove metterle.
Ieri la Germania ha deciso di uscire dal programma nucleare entro il 2022. 8 centrali sono state giÃ* fermate, altre 6 entro la fine di quest'anno e le altre 3 restanti entro il 2022.
La Svizzera lo farÃ* entro il 2034.
Da questo breve ma spero esauriente panorama sul nucleare non può che venire fuori una voglia di dire un forte SI all'abrogazione della possibilitÃ* di impiantare centrali nucleari nel nostro paese.

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